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L’inviato UE sulla libertà religiosa: “L’Europa deve fare di più”

BRUXELLES , 26 ottobre, 2016 / 9:00 AM (ACI Stampa).

È tornato la scorsa settimana da una visita ufficiale in Giordania, dove ha potuto non solo parlare di cooperazione tra l’Europa e il piccolo Stato nel Medio Oriente, ma anche toccare con mano la situazione dei rifugiati cristiani. Jan Figel, inviato speciale dell’Unione Europea per la libertà religiosa, guarda con attenzione alla situazione del Medio Oriente, e cerca di implementare relazioni chiave con Paesi come la Giordania. Perché non si tratta solo di parlare del genocidio dei cristiani, ma anche di creare una nuova narrativa. Ne parla con ACI Stampa a margine di un simposio sulla libertà religiosa organizzato dalla rete internazionale di avvocati ADF International a Bruxelles dal 19 al 20 ottobre.

Come definirebbe quello che sta avvenendo in Medio Oriente?

È una priorità politica guardare a quello che sta avvenendo in Medio Oriente, ovvero la persecuzione dei cristiani e di altre minoranze religiose come gli yazidi e musulmani. Credo che la situazione possa essere etichettato come genocidio. Si tratta di un crimine che avviene nel centro geopolitico del mondo, dove tre continenti si incontrano e le religioni più importanti e con più seguito vivono insieme. È evidente che quello che accade in Medio Oriente ricasca anche su altri continenti, anche se non dobbiamo trascurare il fatto che ci sono molti altri posti in cui la libertà religiosa è liquidata, discriminata e oppressa.

Come va affrontata questa situazione?

Servono strumenti e politiche da mettere in atto in maniera efficace.

Quali sono state le sue impressioni dopo il viaggio in Giordania?

È stata una visita politica ufficiale, nella quale ho incontrato rappresentanti del governo giordano, ma anche leader religiosi e della società civile. Sebbene sperimenti un clima di crescente tensione - complice anche l’assassinio dello scrittore cristiano Nahed Hattar per aver condiviso una vignetta sull’imam – le autorità sono molto impegnate nel dialogo e nelle azioni contro la radicalizzazione, la violenza e l’estremismo. Non solo. La Giordania è membro della coalizione anti-Isis, e promuove iniziative significative perché l’Islam venga interpretato in maniera moderata al di là dell’interpretazione radicale. Tra queste iniziative, ricordo il “messaggio di Amman”, la lettera “Una parola comune”, e la Settimana dell’Armonia Religiosa. Sono iniziative che lodo, perché c’è bisogno di un dialogo positivo.

Da primo inviato dell’Unione Europea sulla libertà religiosa, cosa ci si aspetta dall’Unione Europea?

Ci deve essere più cooperazione. La Giordania non ha chiuso i confini, ha raddoppiato quasi la sua popolazione accogliendo i rifugiati ed è praticamente impossibile per loro sostenere questa situazione.

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